Salisburgo è diventata meta di neofiti attratti
dall'atmosfera preromantica delle sue strade e
dall'ineguagliabile sapore dei suoi dolci, tra i quali i
celebri cioccolatini sferici chiamati, non a caso,
"palle di Mozart"; una rockstar austriaca recentemente
scomparsa, Falco, ha scalato le classifiche di tutta
Europa con il brano Rock me Amadeus; in Italia, una
trasmissione radiofonica della Rai, condotta dal duo
Mirabella - Garrani, malgrado non affrontasse tematiche
musicali fu esplicitamente ispirata alla figura di
Mozart e titolata Divertimento musicale per due corni e
orchestra K. 522.
A ciò si aggiunga che uno degli elementi che più
contribuì al successo del film La mia Africa, di Sidney
Lumet, fu la colonna sonora, il cui brano di punta era
l'andante del Concerto per clarinetto e orchestra K.
622. Queste, ma non solo, sono le manifestazioni di una
febbricitante curiosità che durante gli ultimi quindici
anni ha avvolto la figura di Wolfgang Amadeus, facendone
un fenomeno di massa. Sarebbe errato, però, ritenere che
sino al film di Milos Forman, Mozart fosse oggetto di
studio - e di piacere - dei soli musicologi; egli invece
stimolò la curiosità anche di coloro che non avevano con
la musica un rapporto esclusivamente professionale, in
particolare riguardo alle misteriose circostanze della
sua morte.
Tra tutti, ricordiamo Aleksander Puskin, che nel 1830
diede alle stampe il racconto
Mozart e Salieri,
nel quale avalla l'ipotesi dell'omicidio da parte di
Antonio Salieri, italiano, musicista di corte a Vienna,
insopportabilmente invidioso della genialità di Amadeus.
Vi fu anche un altro uomo di lettere che si occupò di
Mozart, non limitandosi all'episodio conclusivo della
sua esistenza. Il suo nome è Marie-Henry Beyle, ma è
conosciuto come Stendhal.
Amava l'Italia e la musica, che tendeva quasi a
identificare in ragione di un determinato episodio.
Qualche giorno prima della battaglia di Marengo (1800),
egli si reca al teatro di Novara per assistere all'opera
di Cimarosa Matrimonio segreto. Ne è folgorato: rapito
dalla melodia di tipico stampo italiano, Stendhal entra
in una sorta di trance che gli apre le porte di un mondo
a lui sconosciuto, quello della musica, che si
ripresenterà costantemente in ogni sua opera letteraria
e che gli regalerà una visione del mondo al limite
dell'onirico. Tempo dopo, infatti, nel pieno della
ritirata di Russia, il sottotenente dell'esercito
napoleonico Henry Beyle non si sofferma con il pensiero
sul presente, desolato e drammatico, che vede
l'Imperatore di Francia in caduta libera, ma volge i
propri ricordi al passato, a quella sera di 12 anni
prima, quando incontrò la dea musica:
"Credo che il mio amore
per Cimarosa - scrive -
dipenda dal fatto che
egli genera le
sensazioni
che io vorrei generare un giorno".
Il riferimento a Cimarosa non è che un pretesto per
affermare la propria volontà di diventare un
"musicista della parola",
uno scrittore capace di arrivare dritto al cuore dei
suoi lettori così come ogni opera musicale arriva dritto
al suo. E proprio per acquistare dimestichezza con il
mondo di quei suoni che intende trasfigurare in parole,
Stendhal si dedica allo studio di alcuni tra i musicisti
che più ama. Uno di questi è proprio Mozart, del quale,
nel 1814, scrive un libro, Vita, che ci farà da guida
per capirne la grandezza e il fascino. Con stile
asciutto e diretto, Stendhal comincia spiegando che
"Il padre di Mozart ha
avuto un'enorme influenza sul singolare destino di suo
figlio, di cui ha sviluppato e forse modificato le
inclinazioni".
Infatti, Leopold Mozart - questo il nome del padre di
Wolfgang - è a sua volta musicista, membro del gruppo di
maestri al servizio del principe arcivescovo di
Salisburgo. Il suo lavoro è dedicato quasi totalmente
all'insegnamento: impartisce lezioni di violino e di
composizione; scrive saggi, uno dei quali - Insegnamento
ragionato del violino - ottiene un buon successo. Sua
moglie è la signora Anna Maria Pertl: a proposito della
coppia, Stendhal scrive che
"...erano nominati in
tutta Salisburgo a causa della loro rara bellezza".
Da loro nascono sette figli, due soli dei quali
rimangono in vita: Maria Anna e, il 27 gennaio 1756,
Johannes Chrisostomus Wolfgang Theophilus Mozart.
Entrambi esprimono, sin dalla tenera età, un
indiscutibile attitudine per le sette note, tanto da
indurre il padre a rinunciare a qualsiasi impegno
professionale per dedicarsi a insegnare musica
esclusivamente ai figli. Maria Anna "trasse
notevole profitto dalle sue lezioni e, nei viaggi
compiuti in seguito con la famiglia, condivise
l'ammirazione ispirata dal talento di suo fratello".
Tuttavia, come molte altre donne, sacrificherà la
carriera per un buon partito, nella fattispecie un
consigliere del suddetto principe arcivescovo. Il
piccolo Wolfgang, da par suo, sembra non riuscire a
trattenere l'impeto che lo lega alla musica. A soli
quattro anni "gli bastava
una mezz'ora per imparare un minuetto, e appena il
doppio per un brano di maggior respiro. Subito dopo li
suonava con sorprendente pulizia, e perfettamente a
tempo". Un énfant prodige, insomma, ma dall'animo
estremamente sensibile: quasi ossessionato dalla ricerca
di affetto, trascorre buona parte della giornata a
interrogare le persone che girano per casa chiedendo
loro se lo amino davvero.
E se una di queste,
scherzando, risponde di no, il piccolino scoppia in un
pianto a dirotto che termina soltanto quando l'autore
dello scherzo non gli abbia rinnovato il suo amore.
L'infanzia di Mozart è un crescendo di episodi
sbalorditivi, che fan pensare a lui come a un
extraterrestre. Ne è un esempio questo aneddoto,
riportato da Stendhal: "Mozart padre tornava un
giorno dalla chiesa in compagnia di un amico; a casa
trovò suo figlio impegnato a scrivere musica. "Che stai
facendo, figliolo?", gli chiese. "Compongo un concerto
per clavicembalo. Ho quasi finito il primo tempo."
"Vediamo un po' questo scarabocchio." "No, vi prego; non
ho ancora finito".
Ciononostante il padre prese il foglio e mostrò al suo
amico un groviglio di note che si riuscivano a stento a
decifrare a causa delle macchie d'inchiostro. A tutta
prima i due amici risero bonariamente di quello sgorbio;
ma ben presto, dopo che Mozart padre lo ebbe osservato
con un po' di attenzione, i suoi occhi rimasero a lungo
fissi sulla carta, e alla fine si riempirono di lacrime
d'ammirazione e di gioia. "Guardate, amico mio",
disse commosso e sorridente, "come è tutto composto
secondo le regole; è un vero peccato che questo brano
non si possa eseguire: è troppo difficile e nessuno
potrà mai suonarlo".
Insomma, un bambino totalmente coinvolto e dalla musica,
che ama al punto tale da non poter tollerare fisicamente
suoni impuri o stonature. Per questa ragione egli odia
profondamente il timbro forte e impetuoso della tromba:
"Quando gli mostravano quello strumento -
scrive Stendhal - esso faceva su di lui press'a poco
la stessa impressione prodotta su altri bambini da una
pistola carica e puntata contro di loro per scherzo".
Leopold, nel tentativo di fargli superare questo
rifiuto, prova una terapia d'urto: lo chiama a sé, e in
sua presenza, ordina ad altri maestri appositamente
convocati di suonare l'odiato strumento.
Non ne cava un ragno dal buco: "...alla prima nota
(Mozart, ndr) impallidì e stramazzò sul pavimento; e
verosimilmente sarebbe stato colto dalle convulsioni se
non avessero smesso immediatamente di suonare".
Solo col tempo, Wolfgang imparerà, se non ad amare,
almeno a tollerare la presenza della tromba in
orchestra. La coscienza di tale e tanta virtù non
sortisce, sul piccolo, effetti negativi. Da parte sua,
infatti, non si ricordano gesti sfrontati o
atteggiamenti boriosi. Non ha che una pretesa: quella di
un auditorio competente in materia di musica. Ma si
tratta di una pretesa ragionevole, provenendo da un
bambino che non può avere la malizia e la cortesia
necessarie per trattare con i membri dell'alta società
austriaca. Non senza ragione, infatti, quando Wolfgang
si rende conto di suonare per persone inesperte, si
limita a eseguire brani molto semplici; se invece
comprende di essere circondato da intenditori, si tuffa
nella musica con impeto e concentrazione.
Ha sei anni quando il padre lo conduce al cospetto di
sua maestà l'imperatore Francesco, per il quale deve
eseguire un concerto al clavicembalo. Come riporta Henry
Beyle, "... si rivolse al sovrano e gli disse: "Non
c'è il signor Wagenseil (musicista di corte, ndr)?
Bisogna farlo venire; lui sì che se ne intende".
L'imperatore fece chiamare Wagenseil, e gli cedette il
suo posto accanto al clavicembalo. "Signore",
disse allora Mozart al compositore, "dal momento che
suonerò un vostro concerto, vogliate girarmi le pagine
della partitura"". Potere dell'innocenza. L'anno
successivo Mozart è pronto, a giudizio del padre, per
viaggiare oltre i confini dell'Austria. La famiglia,
quindi, parte alla volta di Monaco di Baviera, Augsburg,
Mannheim, Francoforte, Bruxelles. Giungono anche a
Parigi, dove si trattengono cinque mesi e dove Wolfgang
vede pubblicate, per la prima volta, due sue
composizioni. Nella Ville Lumière, il piccolo si dedica
prevalentemente allo studio dell'organo: inutile
sottolineare che da subito ne carpisce la tecnica e i
segreti, come se li avesse sempre conosciuti e gli
bastasse soltanto muovere le dita sui tasti per rendere
di sè l'idea di un organista maturo. Questo suo
virtuosismo sbigottisce, un anno dopo, la corte inglese,
alla quale i Mozart giungono nel 1764 per fermarsi sino
alla metà del '65.
Malgrado in continui spostamenti, i figli di Leopold
(infatti, non va dimenticato che in queste esibizioni
trova abbondante spazio anche Maria Anna - Nannerl ) non
abbandonano lo studio e gli esercizi volti a migliorarne
l'approccio con la tastiera. Wolfgang non sarebbe
diventato quello che tutti conosciamo se non avesse
perfezionato la sua tecnica, serbatoio da cui trova
alimento la sua genialità. La regolarità dello studio è
regola sacra, alla quale Leopold non ammette
trasgressioni. Fortunatamente, Wolfgang è - almeno in
tenera età - il bimbo che tutti i genitori vorrebbero
avere: "Non ha mai espresso malcontento per ciò che
gli ordinava suo padre. Anche dopo essersi fatto
ascoltare per un'intera giornata, seguitava a suonare,
senza manifestare il minimo disappunto, poiché così
desiderava suo padre". Quel che più conta, però, è
che Leopold non deve far ricorso a coercizioni o, peggio
ancora, a violenze per ottenere da suo figlio obbedienza
e dedizione. Per Mozart la musica è tutto, e ogni
momento della giornata sottratto ad essa è un momento
che non vale la pena di essere vissuto.
Da Londra - dove il piccolo genio ha modo di misurarsi,
uscendone alla grande, con il maestro di musica della
regina, quel Johann Christian Bach, figlio del ben più
noto Johann Sebastian - la famiglia Mozart riparte per
altre numerose destinazioni. Nel 1769, il gruppo fa
ritorno a Salisburgo, ma rimane il tempo necessario per
permettere all'arcivescovo di nominare il tredicenne
Wolfgang maestro di concerto. Dopodiché, è la volta
dell'Italia, dove è enorme l'eco delle imprese del
piccolo genio. Milano, Bologna, Firenze; infine Roma,
dove i Mozart e suo figlio giungono in occasione della
settimana santa per ascoltare, nella cappella Sistina,
l'esecuzione del Miserere di Gregorio Allegri, carica di
elementi suggestivi.
Nannerl, Wolfang e Leopold durante un concerto
Scrive Stendhal, in una
memorabile pagina della Vita di Mozart: "All'inizio
del brano, il papa e i cardinali si prosternano; la luce
dei ceri illumina il Giudizio universale che
Michelangelo dipinse sulla parete dietro l'altare. A
mano a mano che il Miserere procede, i ceri si spengono;
le figure di tanti sventurati, dipinte con un'energia
tanto terribile da Michelangelo, si fanno ancora più
imponenti, appena rischiarate dalla pallida luce degli
ultimi ceri che restano accesi. Quando il Miserere sta
per finire, il maestro di cappella, che batte il tempo,
lo rallenta impercettibilmente, i cantori diminuiscono
il volume delle loro voci, l'armonia si spegne a poco a
poco, e il peccatore, confuso dinanzi alla maestà del
suo Dio, prosternato davanti al suo trono, sembra
attendere in silenzio la voce che lo giudicherà".
La magia dell'atmosfera della cappella Sistina spiega
perché il Miserere non possa essere eseguito
che in quella sacra cornice. Ma c'è un'ulteriore motivo:
tempo addietro, l'imperatore d'Austria Leopoldo I chiese
e ottenne dal pontefice (che doveva essere Innocenzo XII
o Clemente XI) una copia di quella musica, con l'intento
di farla eseguire a Vienna.
L'esito fu tremendo: piatto, scialbo, privo di colore e
di suggestione, il celebre Miserere sembrò una
composizione da due soldi e destò nei presenti il dubbio
che il pontificio maestro di cappella, attraversato da
un impeto di gelosia, avesse mandato a Vienna un brano
diverso da quello richiesto. Le proteste della corte
indispettirono il papa: dapprima licenziò in tronco il
maestro di cappella; in seguito, dopo un lungo lavoro
diplomatico, si convinse di quanto il malcapitato
maestro andava affermando. E cioè che il Miserere
non può eseguirsi a regola d'arte che nella cappella
Sistina, a meno di ridurlo ad una musica qualunque. E fu
riassunto. Questo aneddoto, apparentemente sganciato
dalla vicende di Mozart, è invece fondamentale per
comprendere lo strepitoso successo che questi riscuote
nella città eterna.
Al termine della prima esecuzione, rapito dalla
suggestione del momento, Wofgang si reca nella sua
camera d'albergo e riscrive l'intera melodia. Alla
replica, ne segue la linea tenendo nascosto il
manoscritto nel suo cappello, e ne corregge alcuni
punti. Malgrado il tentativo del piccolo di tenere
nascosto questo suo lavorìo, i romani ne vengono a
conoscenza e, credendo di andare incontro a una serata
divertente, chiedono che Mozart canti in concerto quel
Miserere.
Accontentati, devono ricredersi: l'esecuzione è
splendida e suggestiva. "Il castrato Cristofori
- racconta la nostra "guida" francese -, che lo
aveva cantato nella cappella Sistina, e che era
presente, con la sua stupefazione completò il trionfo di
Mozart (...) e nulla è più difficile, in fatto di belle
arti, che suscitare stupore a Roma".
Ci siamo soffermati a lungo sui primi anni del musicista
perché, come scrive Stendhal nella Vita, "Il periodo
più straordinario della vita di Mozart è la sua
infanzia: i suoi particolari possono appassionare il
filosofo come l'artista". E' un giudizio che
condividiamo, alla luce degli innumerevoli scritti -
musicologici o biografici - che concentrano l'attenzione
sul Mozart musicista geniale e scapestrato, senza dubbio
affascinante. Qualcosa, comunque, in lui cambia. Il
bambino obbediente e studioso di un tempo lascia spazio
a un uomo meno regolare, che non lesina sui piaceri
della vita, tra i quali le donne e il biliardo. La
musica, col tempo, occupa sempre meno spazio. Predilige,
per comporre, le primo ore del mattino, dalle sei alle
dieci; e lavora comodamente sdraiato nel letto. Attesi
questi compiti - quasi di ordinaria amministrazione - si
dedica allo svago.
Questi ritmi, tuttavia, non scandiscono ogni sua
giornata. Artista tout court, Mozart è giocoforza un
burattino guidato da quell'entità sovrumana e
inspiegabile che è l'ispirazione. La quale contribuisce
ad aumentarne l'irregolarità del lavoro. Infatti, come
racconta Stendhal, "… fu sempre incostante nel modo
di lavorare. Quando era ispirato, nessuno sarebbe
riuscito a strapparlo alla sua creazione. Se lo
distoglievano dal pianoforte, componeva in mezzo agli
amici, e finiva per passare notti intere con la penna in
mano. In altri periodi, la sua anima era così ribelle
all'applicazione che Mozart non riusciva a ultimare un
pezzo se non nel momento stesso in cui era costretto a
eseguirlo". La sua ouverture più riuscita,
quella del Don Giovanni, sembra essere nata proprio nel
secondo modo, dopo un intenso lavoro durato l'intera
notte che precede la sua prima rappresentazione, durante
la quale gli orchestrali sono costretti a leggere a
prima vista le partiture terminate non più di cinque
minuti dell'inizio dello spettacolo.
Cambia, in Mozart, anche l'aspetto fisico. I suoi
genitori, come già accennato, sono molto belli. Lui no:
non spicca né per eleganza né per doti fisiche. Magro e
pallido, colpisce il fatto che il suo volto sembra
assumere solo due espressioni: quella della sofferenza e
quella del piacere, come se fosse incapace di provare
sentimenti più neutri. Ha una mania che, secondo Henry
Beyle, "...di solito è un sintomo di stupidità: il
suo corpo era scosso da un perenne movimento; giocava
incessantemente con le mani, oppure batteva il piede per
terra". Quelle mani, che egli tormenta
incessantemente, sono però anche il suo cruccio. Esse
"...avevano un'inclinazione così forte per la
tastiera da renderlo assai poco abile in qualunque altra
cosa.
A tavola non tagliava mai le pietanze o, se tentava
quest'operazione, se la cavava a fatica e goffamente.
Solitamente pregava sua moglie di farlo per lui".
Già, la moglie: Costanza Weber, che gli regala sei
figli, quattro dei quali muoiono prematuramente.
Nonostante le sue frequenti scappatelle, Mozart è però
estremamente legato alla sua famiglia, forse in ragione
dell'armonia nella quale ha trascorso gli anni
infantili. Alla sua morte, però, la vedova e i figli si
ritrovano in eredità solo il suo grande amore. Pessimo
amministratore delle sue pur considerevoli entrate,
Amadeus considera il denaro come una cosa che va spesa e
non accumulata.
Compositore di corte a Vienna, dove vive secondo i suoi
desideri, non l'abbandonerà mai, nemmeno quando il re
Federico Guglielmo II gli promette ponti d'oro per
convincerlo a trasferirsi a Berlino. Insomma, il
classico genio sregolato. Forse proprio per questo
motivo, Mozart - più Beethoven, ma anche di Wagner, di
Gershwin o di tante altre personalità analoghe - piace
così tanto. Dopo aver letto del suo comportamento negli
ultimi anni di vita, pensare che da quest'ometto siano
venuti alla luce capolavori musicali insuperati non può
che lasciare a bocca aperta, e affascinare anche la
persona dalle orecchie più insensibili.
Ecco perché, nel concludere questo ritratto, preferiamo
respingere l'ipotesi che la sua morte - che lo ha colto
nel 1791, a soli 35 anni - sia avvenuta per mano
dell'invidioso Salieri (di cui, tra l'altro, Stendhal
nel suo libro non parla). Ci piace pensare, invece, che
sia giunta diversamente, in un modo più intonato al
genio spesso sovraumano del musicista. Henry Beyle, al
termine della Vita, scrive di uno sconosciuto (*) che
commissiona a Mozart un Requiem, da comporsi in quattro
settimane al prezzo di cinquanta ducati.
Amadeus si mette al lavoro, ma le forze gli diminuiscono
ogni giorno di più, e gli rallentano la creazione. Al
momento della consegna, egli non ha ancora terminato
l'opera; lo sconosciuto, quindi, gli concede altre
quattro settimane e altri cinquanta ducati. Il musicista
cerca di capire chi sia quell'essere sconosciuto
disposto a tollerare i ritardi e a spendere ulteriore
denaro, ma non vi riesce. Un pensiero, quindi, prende a
occupargli la mente: "Sto componendo questo Requiem
per me stesso; servirà per il mio funerale".
"Il povero Mozart - conclude Stendhal - si
mise in testa che quello sconosciuto non fosse un essere
normale; che dovesse avere a che fare con l'altro mondo,
e che gli fosse stato inviato per annunciargli la sua
prossima fine. Reagì applicandosi con moltiplicato
ardore al suo Requiem, che considerava il monumento più
durevole del suo genio. Durante il lavoro, fu spesso
vittima di allarmanti svenimenti. Infine, prima delle
quattro settimane previste, l'opera fu terminata. Lo
sconosciuto tornò al termine convenuto: Mozart era
morto".Il
Requiem, Mozart lo terminò il 4 dicembre 1791. E
l'indomani - il 5 - finì anche la vita di Mozart.
Il giorno del funerale pioveva tanto che i pochi amici
al seguito del feretro si fermarono alle porte della
città e fecero ritorno alle loro case. La carrozza
funebre proseguì da sola fino al cimitero; seguita solo
dal cane di Mozart, e fu l'unico a veder calare la
spoglia nella fossa..
Quando pochi giorni dopo Costanza andò al cimitero per
pregare sulla sua tomba del marito, nessuno seppe
indicargliela, le sue spoglie erano state tumulate in
una fossa comune, quella dei poveri.
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