Wolfgang Amadeum Mozart

 

E', con Beethoven, l'icona della musica classica. Wolfgang Amadeus Mozart gode di un'innegabile popolarità che, al pari di quella del suo collega Ludwig, sfonda le mura della fortezza dei musicofili e si diffonde tra la gente comune: chiunque, infatti, è in grado di ricondurre al musicista di Salisburgo l'incipit della Piccola Serenata Notturna e al maestro di Bonn le celeberrime quattro note iniziali della Quinta sinfonia.
Tuttavia, Mozart è più popolare: non perché più famoso o perché in migliore posizione nella hit parade dei gusti del pubblico, ma perché più fenomeno di costume. Alimentata dal celebratissino film Amadeus, di Milos Forman (1985), una vera e propria "Mozartmania" ha contagiato chi, prima di allora, non aveva mai ascoltato - o lo aveva fatto distaccatamente - la musica del maestro austriaco.

Salisburgo è diventata meta di neofiti attratti dall'atmosfera preromantica delle sue strade e dall'ineguagliabile sapore dei suoi dolci, tra i quali i celebri cioccolatini sferici chiamati, non a caso, "palle di Mozart"; una rockstar austriaca recentemente scomparsa, Falco, ha scalato le classifiche di tutta Europa con il brano Rock me Amadeus; in Italia, una trasmissione radiofonica della Rai, condotta dal duo Mirabella - Garrani, malgrado non affrontasse tematiche musicali fu esplicitamente ispirata alla figura di Mozart e titolata Divertimento musicale per due corni e orchestra K. 522.


A ciò si aggiunga che uno degli elementi che più contribuì al successo del film La mia Africa, di Sidney Lumet, fu la colonna sonora, il cui brano di punta era l'andante del Concerto per clarinetto e orchestra K. 622. Queste, ma non solo, sono le manifestazioni di una febbricitante curiosità che durante gli ultimi quindici anni ha avvolto la figura di Wolfgang Amadeus, facendone un fenomeno di massa. Sarebbe errato, però, ritenere che sino al film di Milos Forman, Mozart fosse oggetto di studio - e di piacere - dei soli musicologi; egli invece stimolò la curiosità anche di coloro che non avevano con la musica un rapporto esclusivamente professionale, in particolare riguardo alle misteriose circostanze della sua morte.


Tra tutti, ricordiamo Aleksander Puskin, che nel 1830 diede alle stampe il racconto Mozart e Salieri, nel quale avalla l'ipotesi dell'omicidio da parte di Antonio Salieri, italiano, musicista di corte a Vienna, insopportabilmente invidioso della genialità di Amadeus. Vi fu anche un altro uomo di lettere che si occupò di Mozart, non limitandosi all'episodio conclusivo della sua esistenza. Il suo nome è Marie-Henry Beyle, ma è conosciuto come Stendhal.


Amava l'Italia e la musica, che tendeva quasi a identificare in ragione di un determinato episodio. Qualche giorno prima della battaglia di Marengo (1800), egli si reca al teatro di Novara per assistere all'opera di Cimarosa Matrimonio segreto. Ne è folgorato: rapito dalla melodia di tipico stampo italiano, Stendhal entra in una sorta di trance che gli apre le porte di un mondo a lui sconosciuto, quello della musica, che si ripresenterà costantemente in ogni sua opera letteraria e che gli regalerà una visione del mondo al limite dell'onirico. Tempo dopo, infatti, nel pieno della ritirata di Russia, il sottotenente dell'esercito napoleonico Henry Beyle non si sofferma con il pensiero sul presente, desolato e drammatico, che vede l'Imperatore di Francia in caduta libera, ma volge i propri ricordi al passato, a quella sera di 12 anni prima, quando incontrò la dea musica: "Credo che il mio amore per Cimarosa - scrive - dipenda dal fatto che egli genera le
sensazioni che io vorrei generare un giorno".


Il riferimento a Cimarosa non è che un pretesto per affermare la propria volontà di diventare un "musicista della parola", uno scrittore capace di arrivare dritto al cuore dei suoi lettori così come ogni opera musicale arriva dritto al suo. E proprio per acquistare dimestichezza con il mondo di quei suoni che intende trasfigurare in parole, Stendhal si dedica allo studio di alcuni tra i musicisti che più ama. Uno di questi è proprio Mozart, del quale, nel 1814, scrive un libro, Vita, che ci farà da guida per capirne la grandezza e il fascino. Con stile asciutto e diretto, Stendhal comincia spiegando che "Il padre di Mozart ha avuto un'enorme influenza sul singolare destino di suo figlio, di cui ha sviluppato e forse modificato le inclinazioni".


Infatti, Leopold Mozart - questo il nome del padre di Wolfgang - è a sua volta musicista, membro del gruppo di maestri al servizio del principe arcivescovo di Salisburgo. Il suo lavoro è dedicato quasi totalmente all'insegnamento: impartisce lezioni di violino e di composizione; scrive saggi, uno dei quali - Insegnamento ragionato del violino - ottiene un buon successo. Sua moglie è la signora Anna Maria Pertl: a proposito della coppia, Stendhal scrive che "...erano nominati in tutta Salisburgo a causa della loro rara bellezza". Da loro nascono sette figli, due soli dei quali rimangono in vita: Maria Anna e, il 27 gennaio 1756, Johannes Chrisostomus Wolfgang Theophilus Mozart. 
Entrambi esprimono, sin dalla tenera età, un indiscutibile attitudine per le sette note, tanto da indurre il padre a rinunciare a qualsiasi impegno professionale per dedicarsi a insegnare musica esclusivamente ai figli. Maria Anna "trasse notevole profitto dalle sue lezioni e, nei viaggi compiuti in seguito con la famiglia, condivise l'ammirazione ispirata dal talento di suo fratello". Tuttavia, come molte altre donne, sacrificherà la carriera per un buon partito, nella fattispecie un consigliere del suddetto principe arcivescovo. Il piccolo Wolfgang, da par suo, sembra non riuscire a trattenere l'impeto che lo lega alla musica. A soli quattro anni "gli bastava una mezz'ora per imparare un minuetto, e appena il doppio per un brano di maggior respiro. Subito dopo li suonava con sorprendente pulizia, e perfettamente a tempo". Un énfant prodige, insomma, ma dall'animo estremamente sensibile: quasi ossessionato dalla ricerca di affetto, trascorre buona parte della giornata a interrogare le persone che girano per casa chiedendo loro se lo amino davvero.

 

 

E se una di queste, scherzando, risponde di no, il piccolino scoppia in un pianto a dirotto che termina soltanto quando l'autore dello scherzo non gli abbia rinnovato il suo amore. L'infanzia di Mozart è un crescendo di episodi sbalorditivi, che fan pensare a lui come a un extraterrestre. Ne è un esempio questo aneddoto, riportato da Stendhal: "Mozart padre tornava un giorno dalla chiesa in compagnia di un amico; a casa trovò suo figlio impegnato a scrivere musica. "Che stai facendo, figliolo?", gli chiese. "Compongo un concerto per clavicembalo. Ho quasi finito il primo tempo." "Vediamo un po' questo scarabocchio." "No, vi prego; non ho ancora finito".
Ciononostante il padre prese il foglio e mostrò al suo amico un groviglio di note che si riuscivano a stento a decifrare a causa delle macchie d'inchiostro. A tutta prima i due amici risero bonariamente di quello sgorbio; ma ben presto, dopo che Mozart padre lo ebbe osservato con un po' di attenzione, i suoi occhi rimasero a lungo fissi sulla carta, e alla fine si riempirono di lacrime d'ammirazione e di gioia. "Guardate, amico mio", disse commosso e sorridente, "come è tutto composto secondo le regole; è un vero peccato che questo brano non si possa eseguire: è troppo difficile e nessuno potrà mai suonarlo"
Insomma, un bambino totalmente coinvolto e dalla musica, che ama al punto tale da non poter tollerare fisicamente suoni impuri o stonature. Per questa ragione egli odia profondamente il timbro forte e impetuoso della tromba: "Quando gli mostravano quello strumento - scrive Stendhal - esso faceva su di lui press'a poco la stessa impressione prodotta su altri bambini da una pistola carica e puntata contro di loro per scherzo". Leopold, nel tentativo di fargli superare questo rifiuto, prova una terapia d'urto: lo chiama a sé, e in sua presenza, ordina ad altri maestri appositamente convocati di suonare l'odiato strumento.
 Non ne cava un ragno dal buco: "...alla prima nota (Mozart, ndr) impallidì e stramazzò sul pavimento; e verosimilmente sarebbe stato colto dalle convulsioni se non avessero smesso immediatamente di suonare". Solo col tempo, Wolfgang imparerà, se non ad amare, almeno a tollerare la presenza della tromba in orchestra. La coscienza di tale e tanta virtù non sortisce, sul piccolo, effetti negativi. Da parte sua, infatti, non si ricordano gesti sfrontati o atteggiamenti boriosi. Non ha che una pretesa: quella di un auditorio competente in materia di musica. Ma si tratta di una pretesa ragionevole, provenendo da un bambino che non può avere la malizia e la cortesia necessarie per trattare con i membri dell'alta società austriaca. Non senza ragione, infatti, quando Wolfgang si rende conto di suonare per persone inesperte, si limita a eseguire brani molto semplici; se invece comprende di essere circondato da intenditori, si tuffa nella musica con impeto e concentrazione. 
Ha sei anni quando il padre lo conduce al cospetto di sua maestà l'imperatore Francesco, per il quale deve eseguire un concerto al clavicembalo. Come riporta Henry Beyle, "... si rivolse al sovrano e gli disse: "Non c'è il signor Wagenseil (musicista di corte, ndr)? Bisogna farlo venire; lui sì che se ne intende". L'imperatore fece chiamare Wagenseil, e gli cedette il suo posto accanto al clavicembalo. "Signore", disse allora Mozart al compositore, "dal momento che suonerò un vostro concerto, vogliate girarmi le pagine della partitura"". Potere dell'innocenza. L'anno successivo Mozart è pronto, a giudizio del padre, per viaggiare oltre i confini dell'Austria. La famiglia, quindi, parte alla volta di Monaco di Baviera, Augsburg, Mannheim, Francoforte, Bruxelles. Giungono anche a Parigi, dove si trattengono cinque mesi e dove Wolfgang vede pubblicate, per la prima volta, due sue composizioni. Nella Ville Lumière, il piccolo si dedica prevalentemente allo studio dell'organo: inutile sottolineare che da subito ne carpisce la tecnica e i segreti, come se li avesse sempre conosciuti e gli bastasse soltanto muovere le dita sui tasti per rendere di sè l'idea di un organista maturo. Questo suo virtuosismo sbigottisce, un anno dopo, la corte inglese, alla quale i Mozart giungono nel 1764 per fermarsi sino alla metà del '65.
 Malgrado in continui spostamenti, i figli di Leopold (infatti, non va dimenticato che in queste esibizioni trova abbondante spazio anche Maria Anna - Nannerl ) non abbandonano lo studio e gli esercizi volti a migliorarne l'approccio con la tastiera. Wolfgang non sarebbe diventato quello che tutti conosciamo se non avesse perfezionato la sua tecnica, serbatoio da cui trova alimento la sua genialità. La regolarità dello studio è regola sacra, alla quale Leopold non ammette trasgressioni. Fortunatamente, Wolfgang è - almeno in tenera età - il bimbo che tutti i genitori vorrebbero avere: "Non ha mai espresso malcontento per ciò che gli ordinava suo padre. Anche dopo essersi fatto ascoltare per un'intera giornata, seguitava a suonare, senza manifestare il minimo disappunto, poiché così desiderava suo padre". Quel che più conta, però, è che Leopold non deve far ricorso a coercizioni o, peggio ancora, a violenze per ottenere da suo figlio obbedienza e dedizione. Per Mozart la musica è tutto, e ogni momento della giornata sottratto ad essa è un momento che non vale la pena di essere vissuto.
Da Londra - dove il piccolo genio ha modo di misurarsi, uscendone alla grande, con il maestro di musica della regina, quel Johann Christian Bach, figlio del ben più noto Johann Sebastian - la famiglia Mozart riparte per altre numerose destinazioni. Nel 1769, il gruppo fa ritorno a Salisburgo, ma rimane il tempo necessario per permettere all'arcivescovo di nominare il tredicenne Wolfgang maestro di concerto. Dopodiché, è la volta dell'Italia, dove è enorme l'eco delle imprese del piccolo genio. Milano, Bologna, Firenze; infine Roma, dove i Mozart e suo figlio giungono in occasione della settimana santa per ascoltare, nella cappella Sistina, l'esecuzione del Miserere di Gregorio Allegri, carica di elementi suggestivi.

 

Nannerl, Wolfang e Leopold durante un concerto

 

 

Scrive Stendhal, in una memorabile pagina della Vita di Mozart: "All'inizio del brano, il papa e i cardinali si prosternano; la luce dei ceri illumina il Giudizio universale che Michelangelo dipinse sulla parete dietro l'altare. A mano a mano che il Miserere procede, i ceri si spengono; le figure di tanti sventurati, dipinte con un'energia tanto terribile da Michelangelo, si fanno ancora più imponenti, appena rischiarate dalla pallida luce degli ultimi ceri che restano accesi. Quando il Miserere sta per finire, il maestro di cappella, che batte il tempo, lo rallenta impercettibilmente, i cantori diminuiscono il volume delle loro voci, l'armonia si spegne a poco a poco, e il peccatore, confuso dinanzi alla maestà del suo Dio, prosternato davanti al suo trono, sembra attendere in silenzio la voce che lo giudicherà".


La magia dell'atmosfera della cappella Sistina spiega perché il Miserere non possa essere eseguito che in quella sacra cornice. Ma c'è un'ulteriore motivo: tempo addietro, l'imperatore d'Austria Leopoldo I chiese e ottenne dal pontefice (che doveva essere Innocenzo XII o Clemente XI) una copia di quella musica, con l'intento di farla eseguire a Vienna.


L'esito fu tremendo: piatto, scialbo, privo di colore e di suggestione, il celebre Miserere sembrò una composizione da due soldi e destò nei presenti il dubbio che il pontificio maestro di cappella, attraversato da un impeto di gelosia, avesse mandato a Vienna un brano diverso da quello richiesto. Le proteste della corte indispettirono il papa: dapprima licenziò in tronco il maestro di cappella; in seguito, dopo un lungo lavoro diplomatico, si convinse di quanto il malcapitato maestro andava affermando. E cioè che il Miserere non può eseguirsi a regola d'arte che nella cappella Sistina, a meno di ridurlo ad una musica qualunque. E fu riassunto. Questo aneddoto, apparentemente sganciato dalla vicende di Mozart, è invece fondamentale per comprendere lo strepitoso successo che questi riscuote nella città eterna.


Al termine della prima esecuzione, rapito dalla suggestione del momento, Wofgang si reca nella sua camera d'albergo e riscrive l'intera melodia. Alla replica, ne segue la linea tenendo nascosto il manoscritto nel suo cappello, e ne corregge alcuni punti. Malgrado il tentativo del piccolo di tenere nascosto questo suo lavorìo, i romani ne vengono a conoscenza e, credendo di andare incontro a una serata divertente, chiedono che Mozart canti in concerto quel Miserere.


Accontentati, devono ricredersi: l'esecuzione è splendida e suggestiva. "Il castrato Cristofori - racconta la nostra "guida" francese -, che lo aveva cantato nella cappella Sistina, e che era presente, con la sua stupefazione completò il trionfo di Mozart (...) e nulla è più difficile, in fatto di belle arti, che suscitare stupore a Roma".


Ci siamo soffermati a lungo sui primi anni del musicista perché, come scrive Stendhal nella Vita, "Il periodo più straordinario della vita di Mozart è la sua infanzia: i suoi particolari possono appassionare il filosofo come l'artista". E' un giudizio che condividiamo, alla luce degli innumerevoli scritti - musicologici o biografici - che concentrano l'attenzione sul Mozart musicista geniale e scapestrato, senza dubbio affascinante. Qualcosa, comunque, in lui cambia. Il bambino obbediente e studioso di un tempo lascia spazio a un uomo meno regolare, che non lesina sui piaceri della vita, tra i quali le donne e il biliardo. La musica, col tempo, occupa sempre meno spazio. Predilige, per comporre, le primo ore del mattino, dalle sei alle dieci; e lavora comodamente sdraiato nel letto. Attesi questi compiti - quasi di ordinaria amministrazione - si dedica allo svago.


Questi ritmi, tuttavia, non scandiscono ogni sua giornata. Artista tout court, Mozart è giocoforza un burattino guidato da quell'entità sovrumana e inspiegabile che è l'ispirazione. La quale contribuisce ad aumentarne l'irregolarità del lavoro. Infatti, come racconta Stendhal, "… fu sempre incostante nel modo di lavorare. Quando era ispirato, nessuno sarebbe riuscito a strapparlo alla sua creazione. Se lo distoglievano dal pianoforte, componeva in mezzo agli amici, e finiva per passare notti intere con la penna in mano. In altri periodi, la sua anima era così ribelle all'applicazione che Mozart non riusciva a ultimare un pezzo se non nel momento stesso in cui era costretto a eseguirlo". La sua ouverture più riuscita, quella del Don Giovanni, sembra essere nata proprio nel secondo modo, dopo un intenso lavoro durato l'intera notte che precede la sua prima rappresentazione, durante la quale gli orchestrali sono costretti a leggere a prima vista le partiture terminate non più di cinque minuti dell'inizio dello spettacolo.


Cambia, in Mozart, anche l'aspetto fisico. I suoi genitori, come già accennato, sono molto belli. Lui no: non spicca né per eleganza né per doti fisiche. Magro e pallido, colpisce il fatto che il suo volto sembra assumere solo due espressioni: quella della sofferenza e quella del piacere, come se fosse incapace di provare sentimenti più neutri. Ha una mania che, secondo Henry Beyle, "...di solito è un sintomo di stupidità: il suo corpo era scosso da un perenne movimento; giocava incessantemente con le mani, oppure batteva il piede per terra". Quelle mani, che egli tormenta incessantemente, sono però anche il suo cruccio. Esse "...avevano un'inclinazione così forte per la tastiera da renderlo assai poco abile in qualunque altra cosa.


A tavola non tagliava mai le pietanze o, se tentava quest'operazione, se la cavava a fatica e goffamente. Solitamente pregava sua moglie di farlo per lui".


Già, la moglie: Costanza Weber, che gli regala sei figli, quattro dei quali muoiono prematuramente. Nonostante le sue frequenti scappatelle, Mozart è però estremamente legato alla sua famiglia, forse in ragione dell'armonia nella quale ha trascorso gli anni infantili. Alla sua morte, però, la vedova e i figli si ritrovano in eredità solo il suo grande amore. Pessimo amministratore delle sue pur considerevoli entrate, Amadeus considera il denaro come una cosa che va spesa e non accumulata.


Compositore di corte a Vienna, dove vive secondo i suoi desideri, non l'abbandonerà mai, nemmeno quando il re Federico Guglielmo II gli promette ponti d'oro per convincerlo a trasferirsi a Berlino. Insomma, il classico genio sregolato. Forse proprio per questo motivo, Mozart - più Beethoven, ma anche di Wagner, di Gershwin o di tante altre personalità analoghe - piace così tanto. Dopo aver letto del suo comportamento negli ultimi anni di vita, pensare che da quest'ometto siano venuti alla luce capolavori musicali insuperati non può che lasciare a bocca aperta, e affascinare anche la persona dalle orecchie più insensibili.


 Ecco perché, nel concludere questo ritratto, preferiamo respingere l'ipotesi che la sua morte - che lo ha colto nel 1791, a soli 35 anni - sia avvenuta per mano dell'invidioso Salieri (di cui, tra l'altro, Stendhal nel suo libro non parla). Ci piace pensare, invece, che sia giunta diversamente, in un modo più intonato al genio spesso sovraumano del musicista. Henry Beyle, al termine della Vita, scrive di uno sconosciuto (*) che commissiona a Mozart un Requiem, da comporsi in quattro settimane al prezzo di cinquanta ducati.


Amadeus si mette al lavoro, ma le forze gli diminuiscono ogni giorno di più, e gli rallentano la creazione. Al momento della consegna, egli non ha ancora terminato l'opera; lo sconosciuto, quindi, gli concede altre quattro settimane e altri cinquanta ducati. Il musicista cerca di capire chi sia quell'essere sconosciuto disposto a tollerare i ritardi e a spendere ulteriore denaro, ma non vi riesce. Un pensiero, quindi, prende a occupargli la mente: "Sto componendo questo Requiem per me stesso; servirà per il mio funerale".


"Il povero Mozart - conclude Stendhal - si mise in testa che quello sconosciuto non fosse un essere normale; che dovesse avere a che fare con l'altro mondo, e che gli fosse stato inviato per annunciargli la sua prossima fine. Reagì applicandosi con moltiplicato ardore al suo Requiem, che considerava il monumento più durevole del suo genio. Durante il lavoro, fu spesso vittima di allarmanti svenimenti. Infine, prima delle quattro settimane previste, l'opera fu terminata. Lo sconosciuto tornò al termine convenuto: Mozart era morto".
Il Requiem, Mozart lo terminò il 4 dicembre 1791. E l'indomani - il 5 - finì anche la vita di Mozart.


Il giorno del funerale pioveva tanto che i pochi amici al seguito del feretro si fermarono alle porte della città e fecero ritorno alle loro case. La carrozza funebre proseguì da sola fino al cimitero; seguita solo dal cane di Mozart, e fu l'unico a veder calare la spoglia nella fossa..
Quando pochi giorni dopo Costanza andò al cimitero per pregare sulla sua tomba del marito, nessuno seppe indicargliela, le sue spoglie erano state tumulate in una fossa comune, quella dei poveri.