Il giorno successivo Giuseppe venne
battezzato nella chiesa locale di San Michele e gli
vennero apposti i nomi di Giuseppe Francesco Fortunino.
Il terzo giorno della sua nascita il padre di Verdi
raggiunse Busseto per notificare la nascita alle
autorità locali e venne indicato nel registro comunale
coi nomi di Joseph Fortunin François. L'atto di nascita
fu redatto in francese, appartenendo in quegli anni
Busseto e il suo territorio all'Impero francese creato
da Napoleone.
Pur essendo un giovane di umile condizione sociale,
riuscì tuttavia a seguire la propria vocazione di
compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di
apprendere dimostrato. L'organista della chiesa delle
Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese a benvolere e
gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica
e alla pratica dell'organo. Più tardi, Antonio Barezzi,
un negoziante amante della musica e direttore della
locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel
giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e
protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.
La prima formazione del futuro compositore avvenne
tuttavia sia frequentando la ricca biblioteca della
Scuola dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, sia
prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei
locali filarmonici, che gli insegnò i principi della
composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi
aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua
sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella
di Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il
barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si
stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio
Barezzi e a una "pensione" elargitagli dal Monte di
Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere
ammesso presso il locale prestigioso Conservatorio e fu
per diversi anni allievo di Vincenzo Lavigna, maestro
concertatore alla Scala. Nel 1836 sposò Margherita
Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la
quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una
modesta abitazione a Porta Ticinese. Nel 1839 riuscì
finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far
rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto,
Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio
Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle
Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano,
ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al
pubblico tanto che l'opera ebbe un discreto successo e
quattordici repliche.
Visto l'esito dell'Oberto, l'impresario della Scala
Bartolomeo Merelli gli commissionò la commedia Un giorno
di regno, andata in scena con esito disastroso.
L'insuccesso dell'opera fu dovuto, con ogni probabilità,
alle condizioni in cui fu composta. Un tremendo dolore
attanagliava Verdi a causa della tragedia familiare che
aveva vissuto: la morte della moglie e dei figli avuti
da lei. La prima ad andarsene era stata la piccola
Virginia Maria, nata nel marzo 1837 e morta nell'agosto
1838; Icilio Romano, nato nel luglio 1838, era morto
invece nell'ottobre 1839. Infine la loro madre
Margherita era spirata nel giugno 1840. Verdi era solo,
privo ormai della sua famiglia. Ciò aveva gettato il
musicista nel più profondo sconforto, e per ironia della
sorte l'opera che gli era stata richiesta doveva essere
comica.
Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la
lirica, consegnandogli personalmente un libretto di
soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle
Solera. Verdi, però, ancora scosso dalla tragedia
familiare ripose il libretto senza neanche leggerlo,
senonché, una sera per spostarlo gli cadde per terra e
si aprì, caso volle proprio sulle pagine del Va,
pensiero, e quando Verdi lesse il testo del famoso brano
rimase scosso...dopodiché andò a dormire ma non riuscì a
prendere sonno, si alzò e rilesse il testo più volte e
alla fine lo musicò, e una volta musicato il Va,
pensiero decise di leggere e musicare tutto il libretto.
L'opera andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla
Scala e il successo fu questa volta trionfale. Venne
replicata ben 64 volte solo nel suo primo anno di
esecuzione.
Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi.
Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un
impianto belcantistico, in linea con i gusti del
pubblico italiano del tempo, ma teatralmente è un'opera
riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del
libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, e
tale caratteristica avrebbe contraddistinto anche la
successiva, e più matura, produzione del compositore.
Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono
fortemente caratterizzati sotto il profilo
drammaturgico, così come il popolo ebraico, che si
esprime in forma corale, unitaria, e che forse
rappresenta il protagonista vero di questa prima,
significativa, creazione verdiana. Uno dei cori
dell'opera, il celebre Va, pensiero, finì col divenire
una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante
austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel
resto d'Italia.
Nabucco segnò l'inizio di una folgorante carriera. Per
quasi dieci anni Verdi scrisse mediamente un'opera
all'anno, Da I Lombardi alla prima crociata a La
battaglia di Legnano, passando per I due Foscari,
Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I
masnadieri, Ernani e Macbeth. Tali opere giovanili, ad
eccezione delle due ultime, pur presentando talvolta al
loro interno pagine di acceso lirismo e una lucida
visione dei meccanismi e delle dinamiche teatrali, non
danno testimonianza di un'evoluzione del maestro verso
forme musicali e drammaturgiche più personali e si
adagiano su schemi già sperimentati in passato e legati
alla tradizione melodica italiana precedente. Furono
creazioni generalmente di successo rappresentate in
molti teatri italiani ed europei, ma composte spesso su
commissione, con ritmi di lavoro talvolta massacranti e
non sempre sorrette da una genuina ispirazione. Per tale
ragione Verdi definì questo periodo della propria vita
"gli anni di galera". Fra la produzione verdiana
dell'epoca spiccano senz'altro, per forza drammaturgica
e fascino melodico due opere, Ernani e Macbeth.
Tratta dall'omonimo dramma di Victor Hugo, Ernani fu
concepito da Verdi fin dall'estate del 1843. Musicato
nell'inverno successivo su libretto di Francesco Maria
Piave, venne presentato al pubblico veneziano in marzo.
La vicenda, ricca di colpi di scena e incentrata su un
triplice amore, diede la possibilità a Verdi di
approfondire la caratterizzazione di alcuni personaggi
dal punto di vista drammaturgico e di iniziare ad
affrancarsi dall'ingombrante influsso dei grandi
compositori italiani dei primi decenni dell'Ottocento:
Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.
Macbeth, presentata al Teatro La Pergola di Firenze nel
1847, è con ogni probabilità il capolavoro giovanile di
Verdi. Musicata su libretto di Francesco Maria Piave, si
ispira alla tragedia omonima di William Shakespeare.
Negli ultimi decenni è stata sottoposta a un intenso
processo di rivalorizzazione, anche se generalmente
viene rappresentata nella sua veste definitiva del 1865,
riveduta e ampliata dal compositore bussetano. L'opera,
dalle potenti connotazioni drammatiche, si differenzia
dalle precedenti per un maggiore approfondimento
psicologico dei protagonisti della tragedia (Macbeth e
Lady Macbeth), preannunciando, col suo debordante
lirismo, la trilogia popolare di un Verdi entrato nella
sua piena maturità espressiva.
Nel 1849, venne presentata al pubblico napoletano Luisa
Miller, opera meno affascinante di Macbeth, ma
importante per l'evoluzione dello stile musicale e della
drammaturgia verdiana. L'orchestrazione si fa più
raffinata che in passato, il recitativo più incisivo e
il compositore scava nella psiche della protagonista
come mai aveva forse fatto prima di allora. Anche nella
creazione successiva, Stiffelio, rappresentata per la
prima volta a Trieste nel 1850, Verdi portò avanti quel
lavoro di caratterizzazione psicologica del personaggio
centrale, iniziato con Macbeth e proseguito in Luisa
Miller. L'opera presentava però alcune debolezze
strutturali, dovute in parte ai drastici tagli operati
dalla censura austriaca, che non le permisero di imporsi
al grande pubblico italiano ed europeo. Ancor oggi
Stiffelio è rappresentato raramente.
Un anno più tardi, con Rigoletto (Venezia, 1851), Verdi
si sarebbe imposto come il massimo operista italiano del
suo tempo. Rigoletto fu seguito da altri due capolavori
assoluti, Il trovatore e La traviata, che formano con
esso la cosiddetta "trilogia popolare", o (più
impropriamente) "romantica", del compositore bussetano.
Tratto da una pièce di Victor Hugo, Le roi s'amuse,
Rigoletto è un'opera profondamente innovativa, sotto il
profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta al
centro della vicenda di un'opera drammatica troviamo un
buffone di corte, cioè un personaggio che, utilizzando
una terminologia moderna, potremmo definire un
"emarginato sociale". La dimensione emotiva dei
protagonisti è colta da Verdi magistralmente attraverso
una partitura messa al servizio del dramma e di
straordinaria bellezza melodica. Azione e musica
sembrano rincorrersi e sostenersi mutuamente in una
vicenda che ha un ritmo di sviluppo rapido, senza
cedimenti né parti superflue.
Il miracolo si ripeté con Il trovatore (Roma, 1853),
opera dall'impianto più tradizionale, ma altrettanto
affascinante. Dramma di grande originalità oltretutto,
perché si struttura su una vicenda povera di avvenimenti
e dove i protagonisti o sono proiettati verso un futuro
gravido di incognite, o immersi nei ricordi di un
passato lontano che ne condiziona l'azione e che li
sospinge verso un destino di morte ineluttabile. Con
quest'opera Verdi scrisse alcune fra le sue pagine più
alte, ricche di patetismo e suggestioni tardo-romantiche
che sarebbero nuovamente emerse pochi mesi più tardi,
nella terza opera, in ordine cronologico, della
trilogia: La traviata.
La traviata (Venezia, 1853) ruota attorno alla storia di
una cortigiana travolta dall'amore per un giovane di
buona famiglia. Più che su alcuni accadimenti esteriori,
la vicenda viene vissuta all'interno della coscienza
della protagonista la cui natura umana è scandagliata da
Verdi in tutte le sue minime sfumature. Le scelte
stilistiche del grande compositore risultano sempre
adeguate alla complessa drammaturgia dell'opera e si
traducono in un raffinamento orchestrale e in una
complessità armonica la cui modernità non venne
all'epoca pienamente recepita. Oggigiorno alcuni critici
considerano La Traviata una vera e propria pietra
miliare nella creazione del dramma borghese degli ultimi
decenni dell'Ottocento e ne evidenziano l'influenza su
Puccini e gli autori veristi suoi contemporanei.
Con la "trilogia popolare", Verdi si era imposto come il
più celebre musicista del suo tempo. Eugène Scribe,
all'epoca librettista dell'Opéra di Parigi, propose al
compositore un testo in francese per un'opera da
rappresentare nella Ville Lumière. Non senza esitazioni,
Verdi accettò. Ne uscì un'opera, Les vêpres siciliennes
(1855), di notevole impatto musicale ma poco convincente
sotto il profilo drammaturgico. L'opera, inquadrabile
nel genere del Grand opéra, con spettacolari messe in
scena, coreografie e movimenti di massa, poco si
addiceva al genio verdiano, approdato con la Traviata a
un tipo di drammaturgia più intimista, psicologica.
Maggior successo avrebbe avuto, pochi mesi più tardi, la
versione italiana dell'opera, I vespri siciliani (Parma,
1855), con la quale si sono cimentati, nel secondo
dopoguerra alcuni fra i maggiori direttori d'orchestra e
interpreti della grande lirica internazionale (celebre
la rappresentazione scaligera di De Sabata-Callas del
1951).
In quegli anni riaffiorò prepotente in lui, ormai
compositore affermato, ricco e noto al pubblico
internazionale, il fascino della campagna. Pertanto, nel
maggio 1848 Verdi acquistò dai signori Merli la villa di
Sant'Agata, una frazione di Villanova sull'Arda
(provincia di Piacenza), dove diventò anche consigliere
comunale. Qui si stabilì tre anni più tardi, insieme
alla sua nuova compagna, il soprano Giuseppina Strepponi,
che sposò nel 1859. La fattoria finì con l'assorbire
gran parte del tempo del Maestro, almeno tutto quello
che la musica gli lasciava libero e così, via via, col
passare degli anni, l'amore per la campagna diventò, per
lui, quasi una mania. Le lettere indirizzate al fattore
sono una riprova di quanto il "cigno di Busseto" fosse
esperto in fatto di pioppicultura, di allevamento di
cavalli, di irrigazione dei campi, di enologia. Quanto
poi fosse competente e si tenesse al corrente delle
ultime novità si può dedurre da una lettera, datata
marzo 1888 ed indirizzata ai fratelli Ingegnoli che gli
avevano mandato in omaggio sei cachi di cui avevano
appena iniziato, in Italia, la coltivazione; Verdi se ne
mostrò subito entusiasta, auspicandone la diffusione su
tutto il territorio nazionale. Il 31 agosto 1857 Verdi
ottenne dalla Repubblica di San Marino il titolo di
patrizio sanmarinese.
La seconda metà degli anni cinquanta dell'Ottocento,
furono, per il compositore, anni di travaglio: Verdi
poteva finalmente comporre senza fretta, ma l'intero
mondo musicale stava lentamente cambiando. Sui
palcoscenici italiani, il Simon Boccanegra, presentato
al pubblico veneziano nel 1857, non piacque. Il dramma,
prettamente politico, non aveva quei risvolti
sentimentali che tanto appassionavano il pubblico del
tempo e dovette attendere quasi cinque lustri e una
rielaborazione radicale (cui collaborò anche Arrigo
Boito) per imporsi definitivamente nel repertorio lirico
italiano ed internazionale (1881).
Due anni più tardi vedeva la luce, dopo varie
vicissitudini prima con la censura napoletana (che in
pratica rese impossibile la sua rappresentazione), poi
con quella romana, Un ballo in maschera (Roma, 1859),
opera di successo nella quale Verdi mescolò, con
sapiente dosaggio, elementi procedenti dal teatro
tragico e da quello leggero. Creazione musicalmente e
drammaturgicamente raffinata, dallo stile elegante e
delicato, in Un ballo in maschera affiora un'umanità
vagamente inquieta, non esente da ambiguità, che trova
nella relazione fra i due protagonisti i suoi momenti
liricamente più elevati.
Un interessante connubio di elementi comici e tragici
(con decisa prevalenza di questi ultimi), si realizza
nella Forza del destino (San Pietroburgo, 1862). L'opera
possiede un indubbio vigore musicale anche se appare in
alcuni punti meno compatta, meno unitaria della
precedente sotto il profilo teatrale. Ne La forza del
destino Verdi riesce tuttavia ad elaborare un linguaggio
ancor più realistico che in passato, anticipando l'opera
successiva, il Don Carlos, presentato al pubblico
parigino nel 1867.
Don Carlos è oggi considerato uno dei grandi capolavori
verdiani. In quest'opera il compositore, pur facendo
proprie alcune impostazioni del Grand opéra (fra cui
l'articolazione in cinque atti, l'inserimento di un
balletto fra il terzo e quarto atto e la creazione di
alcune scene particolarmente spettacolari), riesce a
scavare in profondità nella psicologia dei protagonisti,
offrendoci una poderosa raffigurazione del dramma umano
e politico che sconvolse la Spagna nella seconda metà
del XVI secolo e che ruota attorno alla logica spietata
della ragion di stato.
Tale periodo di massima maturazione umana ed artistica
culminò con Aida, andata in scena al Cairo la vigilia di
Natale del 1871. L'opera fu il risultato finale dei
contatti tra Verdi e il kedivè d'Egitto, che nel 1869
aveva invano tentato di ottenere dal maestro un inno per
l'inaugurazione del Canale di Suez.[7] Aida costituisce
un ulteriore, grande passo in avanti verso la modernità.
Il quasi completo abbandono dei pezzi a forma chiusa,
l'uso ancor più accentuato che in passato di temi e
motivi musicali ricorrenti potrebbero fare accostare
tale opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva
seguito un percorso del tutto autonomo in Aida, opera
fondamentalmente intimista e poggiata su una vocalità
dalle caratteristiche prettamente italiane. Ricordiamo a
questo proposito che la prima opera wagneriana ad essere
rappresentata in Italia fu il Lohengrin a Bologna, e ciò
avvenne dopo la prima esecuzione dell'Aida. Verdi era
tuttavia già al corrente di alcune innovazioni musicali
del grande compositore tedesco, verso il quale
inizialmente non nutriva molta stima.
Dopo Aida, Verdi decise di ritirarsi a vita privata.
Iniziò così il periodo del grande silenzio – sia pure
interrotto dalla Messa di Requiem scritta in occasione
della morte di Alessandro Manzoni – durante il quale il
rude contadino delle Roncole meditò sui grandi mutamenti
artistici in corso nel mondo. A far uscire Verdi
dall'isolamento fu Arrigo Boito, il compositore
scapigliato che lo aveva pubblicamente offeso nel 1863
ritenendolo causa del provincialismo e dell'arretratezza
della musica italiana del tempo.
Con gli anni Boito aveva compreso che solo Verdi avrebbe
potuto portare l'Italia musicale al passo con l'Europa
e, col fondamentale aiuto dell'editore Giulio Ricordi,
si riconciliò con lui. Primo frutto della collaborazione
fra il grande musicista e l'ex scapigliato fu il
rifacimento del Simon Boccanegra rappresentato con
grande successo al Teatro alla Scala di Milano nel 1881.
Seguirono a distanza di alcuni anni due opere
memorabili: Otello e Falstaff, entrambi frutto delle
fatiche letterarie di Boito, che si occupò della stesura
dei rispettivi libretti, e di Verdi che ne compose la
musica. Si tratta di due capolavori assoluti del grande
bussetano, ormai prossimo alla concezione wagneriana del
dramma ma senza pagare un solo tributo allo stile del
suo coetaneo d'oltralpe. In Boito Verdi poté trovare un
collaboratore prezioso, che seppe essere all'altezza
delle proprie concezioni drammaturgiche, un
intellettuale di notevole spessore culturale, duttile
nella versificazione e a sua volta musicista, ovvero
capace di pensare la poesia in funzione della musica. Le
due opere, entrambe rappresentate alla Scala, ebbero
esiti diversi. Se Otello incontrò immediatamente i gusti
del pubblico, affermandosi stabilmente in repertorio,
Falstaff lasciò, in un primo momento, perplesso il
grande pubblico verdiano e, più in generale, i melomani
italiani. Per la prima volta dopo lo sfortunato Un
giorno di regno infatti, l'anziano Verdi si cimentava
nel teatro comico, ma con la sua estrema commedia aveva
accantonato in un sol colpo tutte le convenzioni formali
dell'opera italiana, dando prova di una vitalità
artistica, di uno spirito aperto alla modernità e di
un'energia creativa sorprendenti. Falstaff fu sempre
amato dai compositori ed esercitò un influsso decisivo
sui giovani operisti, da Puccini agli autori della
Generazione dell'Ottanta.
Verdi trascorse gli ultimi anni tra Sant'Agata e Milano.
Aveva oramai perso gli ultimi amici di gioventù: Andrea
Maffei e sua moglie Clara, Tito I Ricordi ed Emanuele
Muzio. Nel 1897 la moglie Giuseppina morì, lasciandolo
solo nella sua lunga vecchiaia. Nel 1899 istituì l'Opera
Pia - Casa di Riposo per i Musicisti: redigendo il
testamento, stabilì molti legati destinati ad essa e a
vari altri enti sociali, mentre istituì erede universale
delle sue ingenti ricchezze una cugina (da parte di
padre) di Busseto, Filomena Verdi, la cui storia è
quella di una fortunata Cenerentola. Di famiglia
poverissima, aveva abitato con Carlo Verdi, che aveva
voluto strapparla alla miseria di casa sua. Quando il
padre di Verdi morì (14 gennaio 1867), il musicista e
Giuseppina presero a loro volta in casa la bambina di
sette anni, che ribattezzarono Maria ed educarono con
ogni cura, considerandola una figlia a tutti gli
effetti. In seguito la ragazza si sposò con il figlio
del notaio Carrara, loro buon amico, ed ebbe quattro
figli maschi. Fu lei a prendersi cura del Maestro
rimasto vedovo, e fu lei presente al suo letto di morte,
insieme alla cantante Teresa Stolz.
Verdi morì a Milano in un appartamento dove era solito
alloggiare dal 1872 al Grand Hotel et De Milan alle 2:50
del 27 gennaio 1901, a 87 anni. Era venuto nella città
lombarda per trascorrervi l'inverno, come faceva da
tempo. Colto da malore, spirò dopo sei giorni di agonia.
Il Maestro lasciò istruzioni per i suoi funerali: si
sarebbero dovuti svolgere all'alba, o al tramonto, senza
sfarzo né musica. Volle esequie semplici, come semplice
era sempre stata la sua vita. Le ultime volontà del
compositore vennero rispettate, ma non meno di centomila
persone seguirono in silenzio il feretro. Nei giorni che
precedettero la morte di Verdi, via Manzoni e le strade
circostanti vennero cosparse di paglia affinché lo
scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non ne
disturbassero il riposo. Venne sepolto a Milano presso
la Casa di Riposo per i Musicisti che lui stesso
istituì.
Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per
commemorare la morte di Verdi, particolarmente
suggestiva fu quella che si svolse, alla presenza del
Duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu
stampata anche una cartolina commemorativa in occasione
del luttuoso evento, mentre sia Pascoli che D'Annunzio
scrissero composizioni poetiche in sua memoria. Al Museo
Verdiano Casa Barezzi di Busseto è conservata la prima
stesura del manoscritto originale dell'ode “In morte di
Giuseppe Verdi” (1901) di Gabriele D'Annunzio.
Verdi si cimentò anche al di fuori dal campo operistico.
Dopo aver ricevuto la formazione di maestro di cappella
- secondo la prassi italiana dell'epoca - scrisse molta
musica sacra e strumentale, destinata per lo più alla
locale Società filarmonica. Ricordiamo di questo periodo
(1836-1839) un Tantum ergo, che il compositore giudicò
molto severamente negli anni della propria maturità.[10]
Dall'Oberto (1839) abbandonò, per oltre vent'anni, i
generi non operistici, con l'eccezione della musica da
camera (fra cui alcune romanze da salotto).
Nel 1862 compose, per l'Esposizione Universale di
Londra, l'Inno delle Nazioni su testo di Boito. Molti
anni più tardi, Verdi scrisse una Messa di requiem per
la morte di Alessandro Manzoni (rappresentata nella
Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874). In
realtà già dopo la morte di Rossini (1868), Verdi aveva
proposto a ben undici compositori italiani del tempo,
come omaggio collettivo al compositore pesarese, un
Requiem mai realizzato. Per sé aveva riservato l'ultimo
brano, quel Libera me, Domine che avrebbe recuperato
successivamente, inserendolo, con alcuni cambiamenti,
nel Requiem per Manzoni.
Sempre nel campo della musica sacra, Verdi compose un
Pater noster, su testo in volgare di Dante, pubblicato
nel 1880 e i Quattro pezzi sacri, composti nella tarda
maturità e pubblicati nel 1898: Ave Maria, Stabat Mater,
Laudi alla Vergine e Te Deum.
Di Verdi, nel genere cameristico, ricordiamo alcune
opere giovanili come le Sei romanze (ed. 1838) e Album
di sei romanze (ed. 1845) per voce e pianoforte e il
Quartetto per archi in mi minore (1873).
Degno di nota è anche il Valzer in fa maggiore (1859)
composto per pianoforte, che sarà poi orchestrato da
Nino Rota per la colonna sonora de Il Gattopardo.
Verdi partecipò attivamente alla vita pubblica del suo
tempo. Fu, come si è accennato, un patriota convinto,
anche se nell'ultima parte della sua vita traspare,
dall'epistolario e dalle testimonianze dei suoi
contemporanei, una disillusione, un disincanto, nei
confronti della nuova Italia unita, che forse non si era
rivelata all'altezza delle proprie aspettative. Fu
sostenitore dei moti risorgimentali (pare che durante
l'occupazione austriaca la scritta "Viva V.E.R.D.I."
fosse letta come "Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia").
Il Paese lo volle, quasi a viva forza, membro del primo
parlamento del Regno d'Italia (1861-1865), eletto come
Deputato nel Collegio di Borgo San Donnino, l'attuale
Fidenza, e, successivamente, senatore dal 1874. Fu anche
consigliere provinciale di Piacenza. Rappresentò, e
continua a rappresentare per molti italiani la somma di
tutti quei simboli che li hanno guidati all'unificazione
nazionale contro l'oppressione straniera.
Per lungo tempo Verdi è stato considerato un tranquillo
uomo di campagna toccato dal genio, un uomo rustico e
schietto, integerrimo, e di rara onestà intellettuale.
Tale immagine si univa a quella del patriota ardente,
che a giusto titolo sedette come deputato nel primo
parlamento dell'Italia unita (1861). Aspetti questi,
facenti sicuramente parte della sua personalità ma che
da soli non possono spiegare la grandezza dell'artista e
delle sue immortali creazioni. In realtà Verdi fu un
operista attento alle grandi correnti di pensiero che
percorrevano l'Italia e l'Europa del tempo, pronto a
mettersi in discussione e nel contempo profondamente
conscio del proprio valore. Sempre aggiornatissimo, alla
ricerca di nuovi soggetti cui ispirare le proprie opere,
fu un grande frequentatore della capitale artistica
dell'Europa del tempo, Parigi. Il suo primo viaggio
nella Ville Lumière risale al 1847, l'ultimo, al 1894,
in occasione dell'allestimento dell'Otello che egli
stesso volle seguire personalmente. Compositore
meticoloso, dotato di un'eccezionale sensibilità
drammaturgica che aveva ulteriormente affinato con gli
anni, Verdi fu per tutta la sua vita uno sperimentatore,
proteso verso traguardi sempre più alti e dotato di un
senso critico fuori del comune, che gli permise di
andare incontro ai gusti di un pubblico sempre più
esigente pur senza mai rinunciare ai propri
convincimenti di uomo ed artista. L'enorme epistolario
che ci ha lasciato, oltre a rappresentare un
affascinante affresco di quasi settant'anni di storia
italiana (dalla metà degli anni trenta dell'Ottocento
sino alla fine del secolo), è uno strumento per
conoscere un Verdi "inedito", orgoglioso della propria
estrazione contadina, ma allo stesso tempo uomo
fondamentalmente colto e osservatore fine della realtà e
dell'ambiente che lo circondavano, personaggio inquieto
e protagonista carismatico di un'epoca memorabile.
Stimato e amato da un ampio pubblico internazionale è,
con Giacomo Puccini, l'operista più rappresentato al
mondo, occupando un posto privilegiato nell'olimpo dei
più grandi creatori musicali di tutti i tempi. |