Tutte cose che gli hanno attirato, per un lungo periodo,
gli strali degli esponenti dell'avanguardia e che lo
hanno fatto giudicare un musicista di seconda fila.
A ventun'anni, andò al Curtis Institute di Filadelfia
per studiare pianoforte con Isabella Vengerova,
orchestrazione con Randall Thompson e appunto direzione
d'orchestra con Fritz Reiner. Secondo una sua
testimonianza diretta, è proprio allora che cominciò a
considerare le partiture dal punto di vista della
direzione orchestrale, dove fino a quel momento, da
perfetto studente di Harvard orientato più che altro
all'analisi particolareggiata, le aveva considerate o
dal punto di vista del pianista o da quello del
compositore. Insomma, prima di allora non aveva mai
guardato un testo con l'idea di dirigerlo.
A partire dai suoi studi con Reiner, invece, Lenny (come
viene chiamato dai sui fan), ha sempre avuto
l'obiettivo, si potrebbe dire il chiodo fisso, di
"identificarsi" con il compositore, ossia di sforzarsi
di arrivare ad un grado di conoscenza dell'opera
talmente elevato da avere la sensazione di esserne quasi
diventato l'autore.
Ma sentiamo le sue parole dirette: "A parte questo,
rimangono naturalmente molte altre cose da dire: per
esempio, in che modo affronto lo studio di una nuova
partitura, o anche di una partitura non nuova, perché,
nel vero senso della parola, ogni partitura è nuova
tutte le volte che ci si accinge a studiarla. Così,
quando presi a rileggere la Nona sinfonia di Beethoven
per la cinquantesima volta, dissi a me stesso che le
avrei dedicato al massimo un'ora dopo cena, giusto il
tempo di dare un'occhiata e di rinfrescarmi la memoria
prima di andare a letto. Ahimè! Dopo mezz'ora, ero
ancora a pagina due. Ed ero ancora alle prese col sacro
testo alle due del mattino, e - badi bene [rivolto
all'intervistatrice, N.d.r.]- non certo vicino al
Finale! Ero ancora fermo all'Adagio, rapito in mezzo
alle stelle, perché vi stavo trovando un'infinità di
cose nuove. Era come se non l'avessi mai vista prima.
Naturalmente, ricordavo tutte le note, come pure tutte
le idee, la struttura, perfino il suo mistero. Ma c'è
sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e non appena trovi
una cosa nuova, ecco che le altre ti appaiono come sotto
una luce diversa, perché la novità altera la relazione
con tutto il resto. È impossibile immaginare quante cose
nuove ci sono da scoprire, specialmente in Beethoven,
che fu particolarmente vicino a Dio e uno dei
compositori dalla personalità più ricca che siano mai
esistiti..."
Il suo leggendario debutto avvenne il 14 Novembre 1943,
in sostituzione di un mostro sacro come Bruno Walter
(celeberrimo musicista, pupillo fra l'altro di Gustav
Mahler). Walter doveva tenere un concerto alla Carnegie
Hall ma all'improvviso accusò dei malori, motivo per il
quale dovette essere sostituito all'ultimo minuto. Sul
podio venne chiamato lo sconosciuto Bernstein, allora
appena venticinquenne. L'esecuzione (trasmessa
oltretutto via radio), sbalordì i presenti e ricevette
critiche entusiastiche, tanto da lanciare Lenny
nell'empireo delle giovani promesse da seguire
(aspettative poi ampiamente mantenute...).
Il 1951 è invece l'anno della successione alla guida
stabile della New York Philarmonic dopo la morte di S.A.
Kussevitzky, altro direttore dal forte carisma.
Nello stesso anno sposò l'attrice e pianista cilena
Felicia Montealegre (con la quale ha curato esecuzioni
di musica con voce recitante, fra cui "Parable of Death"
di Lucas Foss e "Jeanne d'Arc au bûcher" di Honegger),
la stessa che compare ritratta nella copertina del
celebre disco del "Requiem" di Mozart,
inciso proprio in ricordo della scomparsa di Felicia
(evento che, quando avvenne, gettò Lenny nella più cupa
disperazione).
Dal 1958 al 1969 Bernstein è stato dunque direttore
stabile della Filarmonica di New York (più di qualsiasi
altro direttore), periodo a cui si devono esecuzioni
memorabili, molte delle quali documentate dalle
tantissime incisioni realizzate. Al contrario di altri
artisti sommi (come ad esempio Arturo Benedetti
Michelangeli o Sergiu Celibidache), Bernstein, infatti,
non fu mai ostile all'incisione e anzi si può dire che
egli fu uno dei più assidui frequentatori delle sale di
registrazione, non tralasciando nemmeno, quando le nuove
tecnologie stavano prendendo piede, le riprese video o
le dirette televisive. In questo è molto simile al suo
collega d'oltreoceano Herbert Von Karajan.
Professore di musica alla Brandeis University dal '51 al
'56, è stato anche il primo direttore americano invitato
alla Scala per dirigere opere italiane: "Medea" (1953),
"Bohème" e "Sonnambula" (1955). Nel '67 è stato
insignito della medaglia d'oro della "Mahler Society of
America" (non dimentichiamo che è stato uno dei più
grandi interpreti di Mahler del Novecento...), e, nel
'79, del Premio UNESCO per la musica. Dal '61 è stato
membro del National Institute of Arts and Letters.
Dimessosi dalla carica di direttore stabile, si dedicò
soprattutto alla composizione anche se, con il tempo,
riprese a dirigere, senza però legarsi ad una qualche
orchestra particolare. Anzi, questo periodo di "libertà"
è famoso per le realizzazioni effettuate con le più
blasonate compagini mondiali, fra cui spiccano, in
particolare, i Wiener Philarmoniker. Sul piano
discografico, per gran parte della sua carriera, incluso
il suo leggendario periodo passato a capo della
Filarmonica di New York, Bernstein ha inciso
esclusivamente per la Columbia/CBS Masterworks
(etichetta ora acquisita dalla Sony Classical), e ha
collaborato con i più grandi solisti e cantanti in
circolazione. Dall'iconoclasta Glenn Gould
(la loro esecuzione del secondo di Brahms è un vero e
proprio "caso" della storia della musica), al più
ortodosso (ma sempre profondissimo) Zimerman; dalla
cantante Janet Baker (gli struggenti, insostenibili, "Kindertoten
Lieder" di Mahler) al violinista Isaac Stern (il
Concerto per violino di
Beethoven!).
Riassumere l'intera attività di Bernstein è davvero
un'impresa ardua. In sintesi, si può dire che questo
musicista rappresenta quanto di meglio la musica abbia
prodotto nel corso del Novecento. Non solo Bernstein ha
contribuito, insieme a pochissimi altri (fra cui,
naturalmente, Gershwin)
alla costituzione di una forma di teatro tipicamente
americana autonoma e originale rispetto al Melodramma,
ma si è anche posto fra gli esecutori più geniali che
mai siano apparsi sul podio (e impressionante è, in
questo senso, il divario fra certa sua natura "leggera"
e lo spirito vibratile, dissolutorio, con cui affrontava
le partiture orchestrali. Si ascolti il nichilistico
finale della Nona di Mahler). Lenny ha saputo così
fondere, in una miscela che non cade mai nel cattivo
gusto o nella faciloneria, la musica colta di tradizione
europea e i linguaggi peculiari tipicamente americani
fra cui, oltre al già di per sé "colto" jazz, anche
quelli del musical e della ballad (come nel balletto "Fancy
Free" o nell'opera comica "Candide").
Indimenticabile ad esempio il suo "West Side Story", una
rivisitazione in chiave moderna dello scespiriano Romeo
e Giulietta, zeppa di canzoni memorabili e dove, al
posto dei Capuleti e dei Montecchi vi si narra lo
scontro fra bande di portoricani nella New York di fine
anni cinquanta. E per chi avesse dei dubbi sulle sue
capacità di pianista, si rimanda caldamente l'ascolto
dei quintetti di Schumann
e di Mozart
incisi con il Julliard quartett.
Infine, Berstein è stato uno dei più insigni ed efficaci
didatti mai esistiti. Insuperabili sono rimaste le sue
lezioni dirette al pubblico giovane o dei bambini,
trasmesse dalla televisione americana (i cosiddetti "Philharmonic's
Young People's Concerts"). Documenti di altissimo
livello (sebbene mai accademici), in cui si osserva
davvero un genio all'opera. Questi concerti, e le
conversazioni che li accompagnavano, furono ideati,
scritti e presentati in TV interamente da lui e
attraverso di loro un'intera generazione di americani ha
scoperto e visto crescere in sè l'amore per la musica.
I suoi lavori "impegnati" comprendono invece la "Jeremiah
Symphony" (1942), "The Age of Anxiety" per pianoforte e
orchestra (basata sull'omonima poesia di W.H. Auden),
(1949), la "Serenata per violino, archi e percussioni"
(1954), la "Messa", composta per l'inaugurazione del
Centro John F. Kennedy
per le Arti dello Spettacolo a Washington (1971) e "Songfest"
per sei voci soliste e orchestra (1977). Ha scritto
l'opera "Trouble in Tahiti" (1952), e oltre alla già
ricordate commedie musicali, non sono da dimenticare i
lavori sinfonico-corali come "Kaddish" (1963) e "Chichester
Psalms" (1965). Molta anche la musica di scena e per
film.
Tanto per non farsi mancare niente, infatti, Bernstein
ha anche vinto un Oscar per la migliore colonna sonora
del film "On the waterfront" ("Fronte del porto").
Ha dichiarato: "Dopo le esecuzioni che io chiamo buone
(un'esperienza incredibile come se componessi in quel
momento...), devono passare alcuni minuti prima che
riesca a ricordare dove mi trovo, in quale sala o
teatro, in quale Paese, o chi sono. Una sorta di estasi
che corrisponde in tutto e per tutto alla perdita di
coscienza".
Non sarebbe comunque giusto passare interamente sotto
silenzio il Bernstein divo, l'amico delle star e dei
produttori di Broadway e di Hollywood nonché di
scrittori e drammaturghi, di capi di stato e di
cancellieri. «E' un tormento degno di Amleto essere un
vero progressista», sospirò esasperato dopo
l'ammirazione entusiastica che aveva suscitato un party
da lui dato in onore di un gruppo di Black Panters.
Grazie alla diretta conoscenza di questo mondo, a lui si
deve il neologismo "radical-chic", parola con cui soleva
indicare i personaggi della sinistra nuovayorchese usi a
ritrovarsi, un po' snobisticamente, nei più prestigiosi
salotti della città.
Leonard Berstein si è spento dopo una lunga malattia
(era fra l'altro un incallito fumatore), nel 1990,
lasciando un vuoto incolmabile di fantasia e di
creatività, ma anche di profondità e di serietà,
nell'approccio di quella grande arte che si chiama
Musica, arte che in lui non avrebbe potuto trovare
miglior servitore. |